Nell’era digitale, è fondamentale archiviare correttamente i nostri file per preservare le nostre informazioni più preziose. Senza qualche piccolo accorgimento rischiamo di perdere documenti importanti ma anche ricordi personali, come le nostre fotografie, avviandoci verso un “deserto digitale”.
Ricordo, da piccolo, una vecchia scatola di legno in cui erano conservate le foto di famiglia: l’infanzia di papà e mamma, i nonni giovani e lontani parenti mai conosciuti.
Nonostante non fosse stata posta una particolare cura nella conservazione ed alcune immagini iniziassero a mostrare i segni del tempo, ogni volta che la scatola veniva aperta, per me era una piccola festa. Le foto, in un pallido bianco e nero e rigorosamente di piccole dimensioni, passavano di mano in mano ed io ascoltavo i racconti degli adulti che descrivevano la persona immortalata o la situazione in cui l’immagine era stata scattata.
Di tanto in tanto non posso che ripensare alla vecchia scatola ed al suo prezioso contenuto. Se per me bambino era sufficiente aprire l’improvvisato scrigno per essere catapultato nelle vite di due o tre generazioni prima, mia figlia od i miei nipoti avranno sicuramente vita più dura ad aprire gli scrigni digitali che racchiudono i miei file.
Il deserto digitale
“Se tieni alle foto, stampale”: questa la declinazione fotografica dell’allarme lanciato nel 2015 dal dottor Vinton “Vint” Gray Cerf, classe 1943, inventore del protocollo TCP/IP e considerato uno dei padri di internet.
Attualmente vicepresidente di Google, dove ricopre la carica di Chief Internet Evangelist, Cerf da anni mette in guardia dal “buco nero” dell’informazione verso il quale spingiamo ogni giorno i nostri documenti digitali.
Tutt’altro che improbabile la possibile causa: via via che gli hardware, i sistemi operativi e i software evolvono, i documenti e le immagini salvate con le vecchie tecnologie rischiano di diventare inaccessibili a chi vorrà leggerli in un prossimo futuro.
Negli anni ’80 e ’90 era prassi comune salvare i documenti sui floppy – prima da 5,25 e poi da 3,5 pollici – e chi operava su immagini di un certo peso ricorreva anche a dischi ad alta capacità come lo Zip di Iomega.
Oggi, anche ritrovando in un cassetto dischi e cartucce in buone condizioni, difficilmente riusciremmo a leggerli per la mancanza dell’hardware adeguato: del resto da molti computer attuali non sono forse già scomparsi anche i ben più recenti lettori CD?
“Nel nostro zelo, presi dall’entusiasmo per la digitalizzazione, convertiamo in digitale le nostre fotografie pensando che così le faremo durare più a lungo, ma in realtà potremmo scoprire che ci sbagliavamo”, ha detto Cerf. “Il mio consiglio è: se ci sono foto a cui davvero tenete, createne delle copie fisiche. Stampatele“
L’archivio digitale
La stampa può rappresentare un metodo di archiviazione interessante per una ristretta selezione delle nostre migliori fotografie, ma di certo – e per svariati motivi – non è adatta alla gestione del nostro intero archivio, che inevitabilmente dovrà restare sotto forma di file.
Alla luce degli allarmi lanciati da Cerf, per la conservazione delle nostre immagini digitali è innanzitutto fondamentale scegliere un supporto che possa garantire longevità, sia in termini di conservazione dei dati che in termini di futura leggibilità. CD e DVD, ad esempio, per quanto ampiamente utilizzati nel recente passato, risentono delle condizioni di conservazione e rischiano di diventare illeggibili già dopo pochi anni, costringendoci a periodiche replicazioni.
Impensabile anche credere di poterci affidare unicamente all’hard disk del nostro computer: la mole di dati generata dalla quantità di scatti e dalla risoluzione delle moderne fotocamere lo saturerebbe molto rapidamente.
Gli hard disk esterni
Ed è proprio quando ciò accade che, la maggior parte di noi, dà il via ad un’infinita collezione di hard disk esterni su cui andrà ad espandere il proprio archivio.
Ad oggi gli hard disk esterni rappresentano infatti una soluzione facilmente reperibile ed economicamente conveniente dal punto di vista del rapporto costo/capacità di archiviazione.
Tuttavia, a mio avviso, per quanto diffusi, anche gli hard disk racchiusi nei piccoli case portatili non rappresentano la soluzione ideale per un archivio sicuro. Non dobbiamo infatti dimenticare che il disco fisso, prima che essere un componente elettronico, è una delicata macchina meccanica composta da un piatto che ruota a diverse migliaia di giri al minuto e che viene letto da una sottile testina che lo sfiora appena. Nonostante siano diventati nel tempo più robusti, è inevitabile che i meccanismi degli hard disk siano comunque delicati e possano rovinarsi in seguito ad urti, anche relativamente modesti.
Se poi pensiamo al fatto che, proprio grazie alle loro dimensioni ed alla praticità d’uso, spesso e volentieri gli hard disk ci accompagnano anche “fuori casa” come strumento di scambio, è facile capire quanto questo strumento sia esposto a possibili danneggiamenti improvvisi. Ho perso il conto di quanti amici, negli anni, si siano lamentati, disperati per la perdita dei loro preziosi dati affidati ad hard disk di questo tipo.
La ridondanza dei dati
Se è vero che gli odierni supporti di memoria possono essere più delicati della scatola portafoto della mia infanzia, è anche vero che, dal punto di vista dell’archiviazione, i file offrono diversi vantaggi. Primo fra tutti quello che, a differenza di negativi e diapositive, i dati digitali possono essere replicati, senza perdita di qualità, per ottenere numerose copie con le medesime caratteristiche dell’originale.
Ecco che allora, per aumentare la sicurezza del nostro archivio, potrebbe essere opportuno realizzare 2, 3 o anche più copie dei nostri file, magari ricorrendo a supporti di diverso tipo da conservare in luoghi diversi, per suddividere il rischio.
Proseguendo sul tema della ridondanza dei dati, nel prossimo articolo vi parlerò di un versatile mezzo di archiviazione: il NAS.