Il digitale ci ha da tempo portati a credere che tutti gli effetti debbano essere applicati in post-produzione… ma è davvero così?
La diffusione della fotografia digitale ci ha da tempo portati a credere che alcune operazioni possano, o addirittura debbano, essere effettuate in post-produzione.
Una delle principali è l’applicazione dei filtri fotografici. Basti pensare, infatti, ai numerosi effetti proposti dai menù di Photoshop, o a quelli ottenibili dai vari plugin disponibili in rete, gratuitamente o a pagamento. Nonostante ciò vi sono alcuni filtri che non possono essere sostituiti da Photoshop e devono essere necessariamente applicati in ripresa: tra questi il polarizzatore ed i filtri a densità neutra, meglio noti come filtri ND.
A cosa serve il filtro ND
Il filtro ND serve per togliere luce, in modo uniforme, su tutte le lunghezze d’onda senza variare la colorimetria della nostra immagine. Praticamente si tratta di un filtro grigio neutro. Grazie alle elevatissime sensibilità delle attuali fotocamere, scattare con poca luce non è più un problema, mentre può ancora esserlo il voler scattare in condizioni di eccessiva luce ambiente. Proviamo ad immaginare di voler scattare un ritratto in esterni con un diaframma molto aperto per avere una ridotta profondità di campo. Oppure di voler realizzare una foto di paesaggio con un tempo lento per registrare un corso d’acqua con il cosiddetto “effetto seta”.
Pur impostando la minima sensibilità permessa dalla nostra fotocamera, in una giornata luminosa difficilmente saremo in grado di impostare l’apertura o il tempo di posa utili per ottenere gli effetti menzionati. Ecco che in queste situazioni il filtro ND diventa indispensabile.
Come si sceglie il filtro ND
I filtri ND sono disponibili in diverse gradazioni, ovvero più o meno “scuri”, e sono identificabili da un valore numerico che contraddistingue la loro densità. La scala di tali valori è costituita dalle potenze di due: 2, 4, 8, 16, 32,… dove tale numero indica la frazione di luce che il filtro lascerà passare.
Da tale fattore potremo rapidamente ricavare la quantità di “stop” o di EV tagliati dal filtro per calcolare il fattore di correzione dell’esposizione.
I filtri ND in numeri
Non siete convinti che il calcolo sia facile? Proviamo a sintetizzarlo con una tabella:
Valore ND | ND2 | ND4 | ND8 | ND16 | ND32 | … | ND1024 |
Quantità di luce trasmessa | 1/2 | 1/4 | 1/8 | 1/16 | 1/32 | … | 1/1024 |
Riduzione f/stop | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | … | 10 |
Densità Ottica | 0,3 | 0,6 | 0,9 | 1,2 | 1,5 | 3,0 |
Il valore più utile, ai fini pratici, è la riduzione di illuminazione espressa in f/stop. È infatti grazie a questo valore che, conoscendo l’esposizione in luce ambiente, possiamo calcolare i valori da impostare in macchina per ottenere un’esposizione corretta con il filtro applicato.
Ad esempio, se l’esposizione rilevata senza filtro fosse 1/1000s, applicando un filtro ND1024 che “toglie” ben 10 stop potremmo passare, a parità di diaframma, ad un tempo di scatto di 1 secondo e registrare così il movimento dell’acqua.
Chiaramente lo stesso meccanismo è applicabile anche all’apertura di diaframma: basta tenere in considerazione il fattore di allungamento dell’esposizione tipico del filtro in uso.
Filtri ND a fattore fisso e a fattore variabile.
Distinti fra loro dal fattore ND, dalla riduzione di esposizione espressa in f/stop o dall’indice di densità ottica – tre modi diversi di indicarne l’effetto – i filtri ND più comuni sono quelli con un fattore di assorbimento “fisso”. Per adattarsi alle varie situazioni di ripresa può, però, rendersi necessario l’acquisto di diversi filtri, più o meno “scuri”, da installare e utilizzare in funzione del livello di luce presente sulla scena e della coppia tempo/diaframma desiderata.
Sempre in formato tondo e, quindi, da avvitare sull’obiettivo della fotocamera, i filtri ND esistono anche in versione “variabile”. Costituiti di fatto da un doppio filtro polarizzatore, e non da un unico cristallo grigio neutro, grazie ad una montatura rotante, questi filtri sono regolabili senza soluzione di continuità entro un range abbastanza ampio: da 2 a 8 o 10 stop di assorbimento.
A fronte di una accresciuta duttilità d’uso, i filtri ND variabili possono in alcuni casi evidenziare delle cadute di luce. Esse possono presentarsi sotto forma di vignettature ai bordi o sotto forma di una croce nel centro dell’immagine, denominata “cross bow” e causata dall’incrocio delle trame dei due polarizzatori. Solitamente, però, questo genere di difetti è facilmente ovviabile cercando di non utilizzare il filtro al massimo dell’oscuramento.
Filtri ND degradanti
Fissi o variabili, i filtri ND sinora illustrati intervengono sull’intero fotogramma. Esistono però delle situazioni in cui l’effetto è richiesto solo su una parte dell’inquadratura. E’ il caso, ad esempio, di un paesaggio con notevole differenza di esposizione fra il terreno ed il cielo.
Per tali applicazioni esistono i filtri degradanti, ovvero che sfumano dalla totale trasparenza al valore ND dichiarato.
Affinché zona trasparente, zona scura e relativa sfumatura siano posizionabili in funzione dell’inquadratura, i filtri degradanti sono realizzati in formato quadrato e vengono installati sull’ottica per mezzo di un’apposita montatura da avvitare all’obiettivo. Le guide del portafiltri consentono di far scorrere i filtri, sotto forma di lastrina di cristallo, per trovare il corretto allineamento della sfumatura con la zona per la quale si rende necessario l’intervento del filtro.
Il risultato sarà uno scatto con leggibilità dei dettagli sia nelle zone di alta luce che in quelle d’ombra.