Negli ultimi anni si è ampliata l’offerta dei supporti su cui stampare. Proviamo allora a capire cosa c’è “sotto l’immagine” per poter effettuare una scelta consapevole delle carte per le nostre stampe fine art.
Negli ultimi anni la tecnologia ha notevolmente semplificato il processo produttivo delle immagini, mettendo a nostra disposizione stampanti di elevata qualità e di facile utilizzo.
Di pari passo con la l’evoluzione e la diffusione di questo tipo di hardware, si è notevolmente ampliata anche l’offerta di supporti su cui stampare. Oltre a quelli proposti dai produttori di stampanti, infatti, vi sono quelli offerti da case che, affondando le loro radici nel mondo cartario, hanno saputo sviluppare supporti dedicati alla stampa inkjet di qualità.
Ci siamo già occupati in questo articolo di quelle loro caratteristiche che possono conferire alle nostre immagini un aspetto più fotografico o più artistico. Proviamo ora a capire cosa c’è sotto l’immagine vera e propria, per poter effettuare una scelta più consapevole fra le migliori carte per la stampa fine art.
La base
La carta viene prodotta con cellulosa, una fibra che può essere estratta dai vegetali per mezzo di procedimenti chimici e meccanici. Circa la metà delle pareti cellulari delle piante è costituita da cellulosa. Mentre però il cotone è quasi totalmente composto da questo polimero naturale, la polpa di legno contiene una elevata percentuale di lignina ed altri ingredienti. La lignina è una sostanza organica naturalmente presente nel legno che però, se non rimossa, causerà col tempo un ingiallimento della carta con esso prodotta. Per contro la rimozione, anche solo parziale, della lignina dalla polpa di legno richiede trattamenti di candeggio piuttosto aggressivi. Tali lavorazioni lasceranno nella carta una acidità residua, la quale attaccherà la struttura stessa del foglio e l’inchiostro delle nostre stampe causando, nel lungo periodo, un degrado delle immagini.
Sebbene cotone e polpa di legno rappresentino l’origine principale della cellulosa impiegata dalle grandi aziende cartarie, tale fibra è in realtà presente anche in altri vegetali. Non a caso vi sono piccole produzioni di carta che impiegano bamboo, canapa e gelso per donare ai fogli caratteristiche ed aspetti ancora più esclusivi.
Qualunque sia la fonte della cellulosa, affinché venga garantita longevità alle nostre stampe, è importante che la carta non abbia un pH inferiore a 7.0. Per questo motivo è consigliabile rivolgersi a carte 100% cotone o, in alternativa, a carte in alfacellulosa, la cellulosa più pregiata ottenibile dal legno, oppure in altre fibre, purché dichiaratamente a “pH neutro”.
Gli additivi
Abbiamo visto come il processo produttivo possa lasciare dei residui acidi nella nostra carta e come, a seconda degli ingredienti utilizzati, quest’ultima possa non essere perfettamente bianca.
Per ovviare a tali problemi, in fase di produzione si impiegano spesso due additivi: il buffer alcalino e degli sbiancanti ottici (OBA: optical brightening agents).
Il tampone alcalino
L’acidità della carta può dipendere dai residui di produzione ma anche da contaminazioni ed inquinamento ambientale. A prescindere da quale sia l’origine, l’acidità ha un duplice effetto: un infragilimento della struttura del foglio ed un degradamento degli inchiostri. Il problema è ben noto anche ad archivisti e bibliotecari sin dal XIX secolo.
Per ovviare a tale problema i produttori di carte destinate a durare nel tempo sono soliti aggiungere una riserva alcalina. Essa è costituita da una certa quantità di sostanze basiche, quali il carbonato di calcio, che servono proprio per contrastare la componente acida, residua od acquisita.
Gli OBA – Optical Brighteners Agent
Utilizzati nei detersivi per garantire un bucato “bianco che più bianco non si può”, gli sbiancanti o azzurranti ottici noti anche come OBA sono degli additivi usati anche nella produzione della carta. Tecnicamente si tratta di sostanze fluorescenti che riescono a trasformare l’irraggiamento ricevuto nello spettro dell’ultravioletto, trasformandolo e restituendolo nello spettro del visibile. In tal modo la percezione dell’occhio umano sarà quella di un bianco, di carta o bucato, più brillante e luminoso.
A differenza dell’acidità residua, gli sbiancanti ottici, spesso indicati con la sigla OBA, non sono però dannosi in termini di longevità. Tuttavia, poiché la loro azione col tempo tende ad esaurirsi, dovremo accettare che le nostre stampe possano modificarsi, con un abbassamento del contrasto dovuto ad una diminuzione di brillantezza del punto di bianco.
Sempre per ottimizzare il “punto di bianco” del substrato, in alcuni casi viene impiegato anche il Solfato di Bario. Utilizzato in passato anche per le carte da camera oscura, che prendevano così il nome di carte baritate, tale componente è ancor oggi impiegato per donare una particolare brillantezza alle carte fotografiche più pregiate.
La scheda tecnica
Se peso, finitura e texture possono spesso essere facilmente dedotti dal nome stesso della carta o verificati acquistando una confezione di prova, i dati più tecnici come la composizione della base o l’acidità residua possono solamente essere reperiti nella scheda tecnica.
I principali produttori di carte per la stampa fine art, come Hahnemühle, le rendono disponibile sui loro siti internet, insieme ai profili ICC per le principali stampanti.